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L’Addio di Daniel Lee: Cosa ne Sarà di Bottega Veneta?

Tutto muta, meno la legge del mutamento, dice Eraclito. Tutto scorre, tutto si trova in uno stato di perenne movimento. Marchi, tendenze, persino i direttori creativi. È definito «divorzio a sorpresa» quello fra Daniel Lee e Bottega Venta, marchio con proiezione francese che affonda le radici nel territorio veneto. Un fulmine a ciel sereno in un matrimonio che sembrava destinato a durare anni, un colpo di scena che ha dato il via a dubbi e interrogativi riguardo al potenziale erede al trono.

 

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Come tutte le separazioni, anche questo inaspettato allontanamento ha delle motivazioni ben precise – in parole povere, fatti fra Bottega e Lee che non dovrebbero riguardarci – sulle quali non mancano speculazioni e rumor. Sul web, si parla principalmente di tensioni nate all’interno dell’ambiente di lavoro. La goccia che ha fatto traboccare il vaso? L’atteggiamento di Lee durante l’organizzazione dello show a Detroit, che ha seguito quello berlinese al Berghain.

È Christina Binkley a informarci, su Twitter, che la scelta da parte del gruppo Kering di comunicare l’addio a Daniel Lee in occasione dei CFDA Award fosse da interpretare come testimonianza della netta rottura tra le due parti. A queste premiazioni, l’ex di Bottega Venta si presentava con ben due nomination.

Il comunicato ufficiale parla di «end of a collaboration», con tanto di ringraziamenti di rito al direttore creativo da parte del CEO di Bottega Veneta, Leo Rogone, e di François-Henri Pinault, presidente e CEO di Kering, che annovera il brand all’interno del suo portfolio dal 2001, grazie all’acquisizione del Gucci Group.

Attribuire a Daniel Lee la rinascita del marchio è forse troppo generico. Basti pensare a come, in soli tre anni, Lee sia riuscito a portare in auge il “Verde Bottega”, uno fra gli assetti fondamentali del brand proprio come l’azzurro di Tiffany e il Rosso di Louboutin, che hanno però impiegato decisamente più tempo ad imporre all’immaginario comune le proprie nuance. Ma la cosa più interessante dal punto di vista storico è l’operazione a livello di posizionamento realizzata dal brand, che diventa New Bottega proprio in occasione della nuova identità. Un’inedita fusione fra hype ed estremo lusso, che ha contribuito in termini quasi esclusivi all’impennata economia del marchio, che riportava revenue in flessione in seguito alla direzione di Tomas Maier.

È in realtà la pelletteria il punto forte di Bottega alla conduzione di Lee: il 74% delle vendite sono proprio relativi a questa categoria merceologica. E se per le scarpe la maison sfiora il 16%, il ready-to-wear sembra, sorprendentemente, non riscuotere un gran successo. È forse questo 7% lo spiraglio in cui il nuovo direttore creativo, ancora ignoto, potrà inserirsi alle redini del marchio. La maison annuncia, infatti, che a breve il proprio reparto creativo verrà riorganizzato. Il candidato più gettonato è Matthieu Blazy, già fra le colonne portanti di Bottega Veneta. Designer di Margiela fino all’arrivo di Galliano nel 2014, e parte del team di Calvin Klein nell’epoca di Raf Simons, Blazy rappresenterebbe un nome congruente alle dinamiche di Kering, solito a incentivare la promozione di un’identità già presente all’interno del brand – vedi Alessandro Michele per Gucci. A quest’ipotesi si affianca Phoebe Philo, una strada decisamente più complessa in seguito al lancio del suo nuovo brand annunciato a luglio con LVMH.

Sempre secondo Eraclito, il divenire è la sostanza dell’Essere, poiché ogni cosa è soggetta al tempo e alla trasformazione. E se per Bottega Veneta essere un marchio tanto di lusso quanto di nicchia, tanto eccitante quanto misterioso, tanto controverso quanto lineare, è solo cambiando le carte in tavola, inserendo uno spirito creativo, che il marchio sarà tale.

Daniele Conforti