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Distrugge le Borse per Esenzioni Fiscali: il Caso Mediatico di Coach

Questa volta è Coach a dimostrarci come campagne marketing, sensibilizzazione sui social, professioni di sostenibilità e soluzioni eco siano insufficienti se prive di anima. Un’anima che esuli dal greenwashing che affligge marchi dal fast fashion a grandi maison modaiole.
Lo scorso 31 agosto, Tiffany She’ree, attivista americana in campo di sostenibilità, si è ritrovata a scavare letteralmente nei cassonetti della spazzatura, poco lontano da un centro commerciale texano. Qui – TikTok ne è la prova – sono state ritrovate borse, scarpe e accessori Choach fatti a pezzi. I responsabili sono, quasi ironicamente, gli stessi dipendenti del marchio. Il motivo? Esenzioni fiscali.

È solo quando Anna Sacks, influencer e paladina del cambiamento sistemico, acquista il lotto di accessori, che il caso viene riportato all’attenzione generale. Una presa di coscienza resa possibile dall’account Instagram Diet Prada, noto per aver stanato l’infima campagna di Dolce & Gabbana. E come da aspettarsi, alla vista dei profondi tagli sulle borse firmate Coach, il popolo del web non è rimasto indifferente. In particolare, in seguito alle parole di Anna Sacks, che sul suo profilo Instagram scrive:

Penso che l’IRS debba indagare sulla pratica comune di distruggere deliberatamente l’inventario utilizzabile e poi segnalarlo come merce danneggiata per pagare meno tasse. Per me, questa è una forma di frode fiscale, simile a bruciare la propria casa e poi richiedere i danni all’assicurazione.

 

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Un caso che ci porta alla memoria le tristi pratiche di Burberry, risalenti al 2018. E che ci fa riflettere su quanto la comunicazione funga, in questi casi, da facciata felice, una flebile maschera priva di coerenza. Basti pensare che, paradossalmente, Tapestry, il gruppo che oltre a Kate Spade e altri brand possiede Coach, è rientrato fra le aziende più sostenibili secondo la classifica di Barron’s. Si aggiunge il programma recentemente lanciato dal brand, che accendeva i riflettori sul second-hand e offriva ai suoi clienti un servizio di riparazione delle borse.
Poco sorprendente è, invece, il post di scuse rilasciato da Coach sul profilo Instagram:

Abbiamo smesso di distruggere prodotti danneggiati e invendibili riportati nelle nostre boutique e ci stiamo dedicando a ottimizzare il loro riutilizzo con Coach (Re)Loved e altri programmi circolari.

Insomma, una storia amara con un finale che, se da una parte regala qualche speranza, ci lascia attoniti. Un racconto che – mi auguro – non finirà fra gli archivi degli scivoloni dei fashion brand, ma che piuttosto venga assimilato all’interno di un discorso globale riguardo alla relativa sostenibilità e alla trasparenza. Una strada percorsa e ripercorsa ma, apparentemente, senza fine.

Daniele Conforti